Solare a concentrazione: innovare guardando al passato

solare-hcpv

Uno degli argomenti dominanti al Solarexpo di quest’anno è decisamente il solare a concentrazione in tutte le sue declinazioni.

Questo tipo di tecnologia come spesso accade ha radici storiche molto antiche e talvolta basta guardarsi indietro di un paio di migliaia di anni per utilizzare nel campo delle rinnovabili un residuato bellico delle guerre Puniche: gli specchi ustori di Archimede. In passato potevano incendiare le navi romane a distanza ma oggi possono gettare le basi per il futuro del solare come principale fonte di energia rinnovabile attraverso il concetto di concentrazione dei raggi del sole.

Ad oggi, sulla base di questa tecnologia, abbiamo individuato ben 5 tipi di impianti per la produzione di elettricità/calore: a specchio parabolico, Fresnell, a torre, dish stirling e Cassegrain o HCPV (high concentration solar photovoltaic). Mentre i primi quattro sfruttano i principi della termodinamica l’ultimo sfrutta l’effetto fotovoltaico; ma approfondiamo con qualche dato per spiegare meglio questa soluzione.

Innanzitutto il nome Cassegrain deriva dallo schema ottico del noto telescopio che usa due specchi uno concavo che ha il compito di ricevere i raggi solari e uno convesso che li riflette in un punto focale. L’utilizzo di questo insieme di sistemi ottici a puntamento costituisce la base tecnica di questa tecnologia, riuscendo così a convogliare la radiazione solare su una determinata superficie sulla quale viene posizionata una cella tripla giunzione di 4 cm quadri. In questo modo grazie alla maggior quantità di onde elettromagnetiche l’effetto fotovoltaico aumenta, dando la possibilità di produrre più energia elettrica rispetto ai pannelli convenzionali.

Se si guarda in termini di efficienza del mezzo tecnologico si va dal 17% di un normale pannello di silicio monocristallino (fino ad ora quello con la più alta efficienza, ndr) a punte superiori al 35% di questa tecnologia. Per fare un esempio con questi pannelli si può produrre 1 kW ogni 3,5 metri quadri mentre con dei pannelli tradizionali avremmo bisogno 7 metri quadri, dimezzando di fatto la superficie necessaria a produrre la stessa potenza di picco. Questo risultato viene raggiunto anche grazie al sistema di puntamento che rende i raggi del sole sempre perpendicolari alla lente convogliatrice e alle celle a tripla giunzione che hanno già di per sé un’efficienza superiore.

Un altro punto di vantaggio riguarda la valutazione dell’impatto del prodotto a fine vita. Oltre a poter vantare una durata superiore stimata fino a 35-40 anni, dovuta al minor degrado prestazionale all’aumentare della temperatura, i materiali di cui è composto sono riciclabili al 99% e la componente fotovoltaica comporta costi di smaltimento irrisori rispetto ad un impianto convenzionale di pari potenza.

Ma passiamo alla parte economica, quanto costa il fotovoltaico a concentrazione? Tenendo conto del calo dei costi dei comuni pannelli in silicio, che si può stimare sui 1800 €/kW, il modulo HCPV si attesta sui 2800 €/kW quindi circa il 35% in più, una percentuale modesta se si considerano tutti i benefici sopraelencati. Un ulteriore fattore lo rende ancora più competitivo: dal 2012 il quinto conto energia (fonte GSE) prevede l’erogazione di un incentivo alla produzione di energia superiore a parità di potenza sempre in relazione alle ormai vetuste soluzioni in silicio, annoverando tale tecnologia tra quelle cosiddette innovative.

Considerando che i sistemi fotovoltaici tradizionali abbiano ormai raggiunto il loro limite fisico in termini di efficienza, i sistemi a concentrazione sembrano una soluzione interessante e attuale e soprattutto attuabile su cui puntare. Concludo affermando che innovare con uno sguardo costruttivo verso il passato, come in questo caso, può fornirci le basi per un futuro sostenibile.

E-cology.it