La stampa 3D sarà amica dell’ambiente?

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Quello della stampa 3D è un campo che in questi ultimi anni sta crescendo esponenzialmente, con macchinari sempre più alla portata di tutti e software per la creazione di oggetti che non richiedono più una laurea in ingegneria per essere usati. Praticamente sta avvenendo quello che una ventina di anni fa stava succedendo con i masterizzatori: dai prezzi esorbitanti dei primi usciti, un lusso destinato a pochi, la tecnologia si è sviluppata, la domanda è cresciuta sempre più e i prezzi sono crollati, diventando così un accessorio onnipresente in ogni computer nel giro di pochi anni dal loro ingresso sul mercato.

Con le stampanti 3D sta succedendo lo stesso: da oggetti industriali carissimi, ormai con meno di mille euro è possibile portarsene a casa una, delle dimensioni di una fotocopiatrice, più o meno. Ma quali sono i vantaggi della stampa 3D e, soprattutto, che impatto hanno queste stampe sull’ambiente?

Al dipartimento di ingegneria meccanica della Berkley University sono giunti alla stessa domanda e hanno provato a fornirci una risposta. Risposta tutt’altro che semplice da trovare perché i fattori da tenere in considerazione sono più di quanto si possa immaginare.

Innanzitutto le stampanti 3D sono di diversi tipi, ad esempio ci sono quelle a modellazione a deposizione fusa (FDM) o quelle a getto d’inchiostro, dove le prime fondono un polimero per posarlo a strati fino a creare l’oggetto desiderato mentre le seconde stampano sottili fogli di materiale che, sovrapponendosi l’uno sull’altro, generano il prodotto finale. Queste sono tecniche differenti dai macchinari industriali, soprattutto le fresatrici, quindi è difficoltoso fare un paragone sui materiali di scarto generati dai vari modelli.

C’è da tenere in conto anche l’utilizzo che ne viene fatto. Non è nemmeno possibile valutare la resa energetica di un macchinario nel corso di un anno o di un mese, ad esempio, perché operando in maniera differente quello che magari una produce in mezz’ora, un’altra ci mette un paio d’ore e rende impossibile farne una comparazione.

Durante la ricerca alla Berkley si sono resi conto che ogni macchinario differiva dagli altri a seconda della quantità di materiale prodotto, da quanto tempo veniva usato o soltanto tenuto acceso e da altre cose tipo, addirittura, la forma e posizione dell’oggetto da stampare. La stampante a modellazione, ad esempio, è risultata la migliore ad alti livelli produttivi, con meno consumo energetico rispetto alle altre due, però conviene se c’è da stampare qualcosa con molte parti vuote al suo interno. Per oggetti piccoli da blocco unico conviene la fresatrice, per parti multiple conviene quella a getto d’inchiostro…

Per calcolare, quindi, l’impatto delle stampanti è stata usata una metodologia chiamata LCA, che tenta di riunire diversi fattori sotto un unico valore. Lungi dall’essere un dato preciso e inappuntabile, ma serve a dare un’idea di quale sia il risultato di questa ricerca.

Grazie a questo è stato decretato che la stampa 3D potrebbe essere più green, usando comunque una stampante di tipo FDM, ma il vero trucco sta nell’utilizzare i macchinari a disposizione in modo che vengano sfruttati al meglio tenendo al minimo possibile il loro numero. Questo ovviamente non vale per l’uso domestico, dove sarà difficile trovare più di una stampante del genere, ma in ambito industriale l’utilizzo di queste nuove tecnologie dovrà essere ottimizzato per evitare inutili sprechi.

Ora però sorge un’altra domanda: la stampa 3D sarà pure amica della nostra salute?

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