La resilienza idrica in Italia è un campanello d’allarme che non possiamo più ignorare. La prima edizione del Kemira Water Index, un rapporto che misura la preparazione di dieci Paesi europei e dieci stati americani ai rischi legati all’acqua, consegna all’Italia un verdetto impietoso: al 10° posto su 10 mercati europei. Siamo la nazione meno resiliente, esposta a un futuro in cui l’acqua, da risorsa vitale, rischia di diventare un fattore di crisi permanente.
Lo studio, condotto da Kemira, azienda che si occupa di soluzioni sostenibili per il trattamento dell’acqua, non si limita a una fredda analisi di dati infrastrutturali. Mette il dito nella piaga, confrontando le statistiche ufficiali sulla preparazione nazionale con la percezione, le paure e le abitudini dei cittadini. Analizziamo insieme i dati forniti.
Ansia climatica e impreparazione in Italia
Ben il 93% degli italiani intervistati si dichiara preoccupato per gli impatti del cambiamento climatico. Eppure, a questa paura diffusa non corrisponde un’adeguata preparazione. Solo un misero 5% ritiene che l’Italia sia pronta ad affrontare le sfide idriche future. Peggio ancora, il 28% degli italiani ammette di non avere alcun piano personale per far fronte a un’eventuale crisi idrica.
Il termine stesso “resilienza idrica”, ovvero la capacità di un sistema di prepararsi, adattarsi e rispondere a shock come siccità, inondazioni e carenze idriche, è un concetto quasi sconosciuto: appena il 23% ne ha sentito parlare. Un divario culturale che ci rende fragili e reattivi, invece che proattivi e preparati.

Crisi climatica: un’esperienza diretta che divide le generazioni
La crisi climatica non è più un’astrazione. Il rapporto Kemira conferma che gli italiani la vivono sulla propria pelle: il 63% ha già sperimentato ondate di calore estreme e il 20% ha subito inondazioni. Eventi che lasciano cicatrici sul territorio e nella memoria collettiva.
Si potrebbe pensare che i più giovani siano i più sensibili al tema. Invece, la Generazione Z (i nati dopo il 1997) risulta la meno preoccupata per l’aumento delle temperature (54%), a differenza della Generazione Y (Millennials, 61%) e della Generazione X (60%). Dati che meriterebbero un approfondimento sociologico.
Italiani dipendenti dall’acqua in bottiglia: tra sfiducia nel rubinetto e scarsa consapevolezza
Un altro capitolo riguarda le nostre abitudini di consumo. In Italia, pur avendo accesso ad acqua generalmente sicura e controllata, metà della popolazione (50%) beve prevalentemente acqua confezionata. Solo il 35% si affida con fiducia al rubinetto di casa.
Questa abitudine, che alimenta un’industria dall’impatto ambientale devastante in termini di plastica, emissioni di CO2 per il trasporto e consumo di risorse, affonda le radici in una profonda sfiducia. Il 52% degli italiani ritiene infatti che servano regole più severe per garantire la sicurezza dell’acqua potabile. Le paure hanno nomi precisi: batteri e virus (45%), microplastiche (41%) e metalli pesanti (38%) sono i contaminanti più temuti.
Colpisce, in questo contesto, la scarsa consapevolezza riguardo ai PFAS, sostanze chimiche sintetiche utilizzate in molti prodotti di consumo e industriali come pentole antiaderenti, tessuti, imballaggi alimentari e schiume antincendio. Le PFAS sono problematiche perché sono estremamente persistenti nell’ambiente e nel corpo umano, dove si accumulano e possono avere effetti dannosi sulla salute. Solo il 23% degli italiani li percepisce come una minaccia, una percentuale nettamente inferiore a quella di Paesi come la Francia (34%) e i Paesi Bassi (42%), dove il dibattito pubblico su questo tema è evidentemente più maturo.
Risparmiamo acqua, ma ne consumiamo di più
La quasi totalità dei cittadini sembra attenta: solo il 6% dichiara di non adottare alcuna misura per il risparmio idrico. Eppure, i dati ci raccontano che l’Italia registra il consumo d’acqua pro capite più alto d’Europa, con una media di 220 litri al giorno.
Come è possibile? La risposta sta probabilmente in una combinazione di infrastrutture danneggiate (le perdite della rete idrica sono tristemente note) e in una percezione distorta del proprio consumo. La tecnologia potrebbe aiutare, ma anche qui inciampiamo. I contatori intelligenti (smart meters), che consentono un monitoraggio preciso e in tempo reale dei consumi, sono installati nel 20% delle abitazioni, ma utilizzati attivamente solo dall’8% degli utenti.

Più regole per l’industria e trasparenza sull’uso dell’acqua
Il rapporto Kemira evidenzia una forte richiesta di azione. L’82% dei cittadini esige norme più rigide per l’uso dell’acqua da parte delle industrie. Non solo: il 75% chiede sussidi per l’adozione di tecnologie di risparmio idrico domestico e, dato cruciale, il 75% pretende che le aziende rendano pubblico il loro utilizzo di acqua, in un’ottica di massima trasparenza. Una richiesta alle industrie di fare la loro parte, così come i cittadini sono disposti a fare la loro.
Miliardi stanziati, ma infrastrutture percepite come inadeguate
L’ultimo punto riguarda il divario tra gli investimenti e la percezione della loro efficacia. Nel 2024, l’Italia ha stanziato quasi 11 miliardi di euro per la resilienza idrica, una cifra imponente. Ciononostante, la fiducia dei cittadini nelle infrastrutture è ai minimi storici: il 47% le giudica insufficienti e il 38% addirittura scarse.
Questa sfiducia è purtroppo corroborata da indicatori internazionali. L’Italia ottiene un punteggio di appena il 78% nell’indice ONU IWRM (Integrated Water Resources Management), che misura l’implementazione di una gestione integrata delle risorse idriche, e un drammatico 0,4 nello score di riduzione del rischio disastri. In sintesi, investiamo molto, ma in modo frammentato e poco efficace, senza una visione strategica a lungo termine.
La resilienza idrica è una responsabilità collettiva
Il Kemira Water Index non è una condanna, ma una diagnosi severa che ci obbliga a guardare in faccia le nostre contraddizioni.
Disponibilità delle risorse, efficienza nell’uso, governance e investimenti a lungo termine devono diventare le fondamenta di una nuova strategia, che parta dall’educazione dei cittadini per superare la dipendenza dalla plastica e riscoprire il valore dell’acqua di rete. Una strategia che promuova l’innovazione tecnologica per ridurre i consumi e le perdite; che imponga regole chiare e trasparenti al mondo produttivo; e che garantisca investimenti infrastrutturali mirati ed efficaci.
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Fonte: comunicato stampa


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